Recensioni
Riflessioni e ricordi di un grande clinico
La psicoanalisi può essere un sostituto della religione?
Quali sono i politici più pericolosi?
Cos’è l’amore felice?
La terapia psicodinamica è efficace? Il dibattito e le evidenze empiriche
a cura di Paolo Migone
FrancoAngeli, Milano, 2021
A partire dagli anni Ottanta, Paolo Migone, che non ha mai distolto lo sguardo dal campo della ricerca sulle terapie psicodinamiche, ha fatto pubblicare, sulla rivista Psicoterapia e Scienze Umane (www.psicoterapiaescienzeumane.it) da lui co-diretta, i principali contributi internazionali su questo tema. Non tanto i sempre numerosi articoli specifici con ipotesi di ricerca ad hoc, bensì i contributi più “fondativi” che affrontano il tema della ricerca in psicoterapia da un punto di vista epistemologico. Sollecitato da diversi colleghi, ora li ha raccolti in un volume, quantomeno i più significativi.
Due le domande di fondo: sono veramente efficaci le terapie psicodinamiche? Che prove abbiamo? Se una delle motivazioni di fondo che hanno spinto il collega Migone a comporre questo volume (che valorizza il versante empirico e non solo, come da tradizione, quello clinico, delle terapie di derivazione psicoanalitica) è stata quella di sfatare il mito delle terapie cognitivo-comportamentali come le sole dotate di “comprovata” efficacia, un’altra motivazione viene senz’altro dal desiderio di spiegare che cosa dobbiamo intendere oggi per “ricerca empirica” in campo psicodinamico (e come questa si differenzia dalla “ricerca clinica”). In tal senso possiamo leggere questo bel volume pubblicato da Franco Angeli in dialogo con un volume tradotto qualche anno fa da Raffaello Cortina, curato da Raymond Levy, Stuart Ablon e Horst Kächele e intitolato La psicoterapia dinamica basata sulla ricerca.
In estrema sintesi, le domande cui i capitoli del volume curato da Paolo Migone cercano di rispondere sono quelle che interessano di più al clinico, per esempio: quali sono esattamente le prove di cui disponiamo dell’efficacia della terapia psicodinamica? Più in generale, quale è la validità scientifica dell’approccio psicodinamico? È possibile fare ricerca sul “caso singolo”? Quali sono i limiti di una psicoterapia evidence-based, cioè “basata sulle evidenze”? Esistono modalità di validazione del processo terapeutico alternative alla ricerca empirica?
Gli autori dei capitoli sono Jonathan Shedler, Horst Kächele, Mark Solms, Falk Leichsenring e Christiane Steinert, Mauro Fornaro, oltre allo stesso Paolo Migone che contribuisce con una parte introduttiva e due capitoli in cui riassume, per rendere il libro più agevole, i lavori di altri autori (tra cui di nuovo Drew Westen, in particolare il suo articolo del 2004 con Catherine Morrison Novotny & Heather Thompson-Brenner intitolato “Lo statuto empirico delle psicoterapie validate empiricamente: assunti, risultati e pubblicazione delle ricerche”, anch’esso a suo tempo tradotto su Psicoterapia e Scienze Umane).
Il capitolo conclusivo è stato scritto da Franco Del Corno e Vittorio Lingiardi.
Tra i tanti motivi per cui consigliamo il volume curato da Paolo Migone è l’importanza di conoscere i fattori che rendono efficace una psicoterapia in un momento in cui molti approcci si “contendono” il mercato. Non sono solo i pazienti che devono essere informati, ma anche i responsabili dei Servizi di salute mentale, le scuole di specializzazione in psicoterapia e le agenzie di formazione.
Scheda di lettura a cura di Franco Del Corno e Vittorio Lingiardi
Puoi acquistarlo qui: FrancoAngeli www.francoangeli.it/Ricerca/scheda_libro.aspx?Id=26952
Preview (indice e presentazione):
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Infedeltà
Lawrence Joseph
Raffaello Cortina, Milano, 2021
Traduzione di: Emma Francia
“Non vedo perché sia legittimo amare insieme Cimarosa, Bach e Strawinski, e sia da fedifraghi amare a un tempo Carolina, Claudia e Maria.”
Questa frase di Bufalino sembra particolarmente appropriata per il tema del libro di Joseph, il cui titolo, diretto ed esplicativo, mette in luce un tema piuttosto dibattuto. La cultura in cui siamo nati e cresciuti attribuisce un valore cospicuo all’importanza della monogamia in quanto valore cardine del matrimonio e di un certo tipo di famiglia, dove i ruoli e le relazioni sono chiare, definite e basate sull’esclusività. Le relazioni monogame continuano quindi a essere considerate il benchmark delle relazioni sentimentali, etero- e omosessuali: le diverse ragioni fornite dall’Autore sono riconducibili al fatto che l’accudimento bigenitoriale della prole è garantito con maggiore probabilità da una relazione sessuale in cui vi è la certezza della paternità.
Tuttavia, l’Autore mostra che l’infedeltà ha un’ampia diffusione e assume diverse forme, sia essa un tradimento seriale o occasionale, o come strategia di sopravvivenza in una relazione infelice. Questo comportamento sembra maggiormente accettato da culture diverse dalla nostra, di cui il volume ci dà un rapido assaggio. Ciò non significa che a queste popolazioni i sentimenti di gelosia per il tradimento e la vendetta nei confronti del fedifrago siano sconosciuti, ma in questi casi le relazioni extraconiugali sono tollerate e possono avere ricadute positive sul rapporto con i figli.
Perchè, dunque, è da fedifraghi amare al contempo Carolina, Claudia e Maria (ma anche Davide, Alessandro e Carlo)? Probabilmente perchè siamo cresciuti con la speranza di trovare “l’anima gemella”, prima persona singolare. Come il bambino piccolo nella relazione primaria con il caregiver non è disposto a condividere con altri il proprio oggetto d’amore, così anche gli adulti nelle loro relazioni sentimentali. L’Autore ci ricorda che la monogamia implica l’esclusività: l’infedeltà del partner, quindi, costituisce un vero e proprio trauma, perchè compromette la sicurezza dell’attaccamento adulto, comporta il crollo delle certezze e soprattutto della fiducia riposta nella persona che si è scelto di avere al proprio fianco. La vittima del tradimento, dunque, conosce il proprio carnefice e anzi ha scelto di farlo entrare nel proprio contesto familiare quando ha iniziato a costruire un futuro assieme a lui o lei. Il tradito ha scelto il proprio Giuda, a volte fra molti pretendenti, e può rivolgere a se stesso pesanti autocritiche o sentimenti di autosvalutazione. Per questo motivo, il lavoro di un eventuale terapeuta, individuale o di coppia, deve essere rivolto anche alla gestione di sentimenti simili nella vittima del tradimento. Joseph mostra inoltre come affrontare il tema dell’infedeltà può essere complicato non solo per chi la subisce, ma anche per lo stesso terapeuta, che ricopre la difficile posizione di “terzo” in relazione alla coppia. Al terapeuta, infatti, è richiesto di provare a comprendere, senza giudicare, sia la posizione del tradito che quella del traditore e svolgere il ruolo di mediatore, rappresentando ad ambedue l’assetto mentale più produttivo per riflettere su questa situazione di crisi. Ma l’infedeltà non riguarda soltanto i membri della coppia, bensì anche l’amante, le famiglie e i figli degli attori di questo “gioco relazionale” e le ripercussioni possono coprire un raggio più ampio di quanto previsto.
Il volume è rivolto a psicoterapeuti che si occupano di pazienti alle prese con i conflitti che derivano dall’infedeltà del partner o del coniuge, e l’Autore ha l’obiettivo di ampliare lo sguardo che si rivolge al tema del tradimento, spesso condizionato da norme culturali e sociali che si sono consolidate nel tempo. Joseph vuole infatti promuovere l’empatia e la comprensione per il punto di vista di coloro che vivono l’esperienza di un triangolo amoroso, siano essi fedifraghi o vittime del tradimento. Indipendentemente dalle motivazioni sottostanti, l’Autore ritiene imprescindibile trattare entrambe le parti con compassione e rispetto, aiutandole ad assumersi le responsabilità relative al proprio ruolo nello svolgimento della situazione, tenendo conto delle difese, legittime, che ciascuno potrebbe erigere. Un esercizio interessante e difficile di sospensione del giudizio e di assunzione di prospettiva.
Scheda di lettura a cura di Silvia Cavedoni (psicologa, psicoterapeuta)
Puoi acquistarlo qui: Libreria Cortina https://bit.ly/2QRCZDC
Negli ultimi anni novanta, Clara Hill ha proposto, per la ricerca sulle psicoterapie, il modello della Consensual Qualitative Research (CQR), che si è rapidamente diffuso ed è ancora oggi fra i più accreditati
Si tratta di un metodo induttivo, che possiede alcune specifiche caratteristiche:
- i dati vengono raccolti mediante domande di tipo open-ended
- le risposte sono verbali e le descrizioni narrative hanno la preminenza sulle procedure di quantificazione, che pure non sono escluse
- la taglia campionaria è ridotta: viene studiato un piccolo numero di soggetti
- viene precisamente descritto il contesto all’interno del quale si svolge la ricerca e ne viene riconosciuta l’importanza
- la ricerca è condotta in gruppo e ogni decisione è presa consensualmente, coinvolgendo anche uno o più auditors esterni
In letteratura, la CQR è giudicata uno dei metodi qualitativi dotati di maggior “trustworthiness”: un concetto che unisce fra loro, a proposito dei dati raccolti, credibilità, utilizzabilità e capacità di stimolare ulteriori riflessioni e ricerche.
Sarah Knox annuncia ora alla SPR list la pubblicazione, da parte della American Psychological Association, del volume Essentials of Consensual Qualitative Research, del quale è coautrice insieme a Clara Hill e che descrive l’approccio della CQR allo studio dei processi della psicoterapia, con esempi e indicazioni utili anche per i ricercatori meno esperti.
Suggerimenti bibliografici
Del Corno, F., Rizzi, P. (2011), La ricerca qualitativa in psicologia clinica, Raffaello Cortina, Milano.
Hill, C.E., Thompson, B.J., Williams, E.N. (1997), “A guide to conducting consensual qualitative research”. In Counseling Psychologist, 25, pp. 517-572.
Hill, C.E., Lambert, M.J. (2004), “Methodological issues in studying psychotherapy processes and outcomes. In Lambert, M.J. (a cura di), Bergin and Garfield’s handbook of psychotherapy and behaviour change (5thed.). Wiley, New York, pp. 72-113
Hill, C. (2005), “La ricerca qualitativa”. In Norcross, J.C., Beutler, L.E., Levant, R.F. (a cura di), Salute mentale: trattamenti basati sull’evidenza. Tr. it. Sovera Multimedia, Roma 2006, pp. 91-98.
Marsha Linehan
Raffaello Cortina, Milano, 2021
Traduzione di: Nidia Morra
Marsha Linehan non ha bisogno di presentazioni: è psicologa, ha un dottorato di ricerca in psicologia ed è un’affermata docente di psicologia negli Stati Uniti. È stata l’ideatrice di uno dei più efficaci metodi per la cura delle persone con diagnosi di Disturbo Borderline di Personalità, la DBT (Dialectical Behaviour Therapy, Terapia Dialettico-Comportamentale). Tuttavia, prima di diventare una delle psicologhe più affermate anche a livello internazionale, ha dovuto a sua volta attraversare una lunga e profonda sofferenza psichica. Come ricorda Allen Frances nella prefazione al volume, è stata ricoverata per più di due anni e sottoposta a tutti i trattamenti possibili, che non avevano alcun successo; inizialmente diagnosticata come schizofrenica, nel tempo il suo disturbo è stato inquadrato come Disturbo Borderline di Personalità. “Marsha ha trovato una via d’uscita dal suo inferno personale che le ha permesso di condurre gli altri fuori dal loro”.
Questa riflessione è fondamentale dal punto di vista diagnostico: bisogna sempre ricordare che la diagnosi è una categoria (o una descrizione del paziente) che viene applicata a una determinata persona in una determinata fase della sua vita, e quindi può modificarsi, migliorare, peggiorare e addirittura perdere di valore. Ciò che sembra incurabile, non sempre lo è. Marsha Linehan ne è un chiaro esempio: ha vissuto anni decisamente devastanti ma, ad un certo punto, ha trovato la forza e la motivazione per lottare e rialzarsi. E, successivamente, ha trovato la forza per raccontarsi e raccontare come fosse stato possibile arrivare alla formulazione di una terapia così efficace: perché lei stessa sapeva cosa si provasse, ne aveva una conoscenza talmente profonda e radicata che sapeva di cosa i pazienti avessero bisogno.
Questo libro ci porta all’interno del viaggio personale di Marsha Linehan e si apre con la descrizione del discorso che ha tenuto, nel 2011, presso l’Institute of Living, un istituto psichiatrico di Hartford, nel Connecticut. Alla fine del libro, si scopre che l’autrice aveva chiesto di tenere un discorso simile con pazienti ed ex-pazienti dell’Istituto che erano stati sottoposti alla DBT: benché fossero stati invitati all’evento ufficiale, non voleva che ascoltassero quelle parole per la prima volta in quella sede. Di fronte a loro, in un incontro privato, ha dichiarato: “Ho sviluppato questo trattamento per adempiere a un voto che avevo fatto quando ero molto giovane. E il posto in cui ho fatto quel voto era l’Institute of Living, perché mi trovavo qui come paziente – reparto a piano terra, quello ‘chiuso’, per tutto il tempo. Raramente ne potevo uscire. Sarei dovuta rimanere ricoverata solo per poche settimane, ma non sono uscita dall’istituto per due anni e un mese; quindi sono stata rinchiusa per un tempo molto lungo. Ero come siete voi adesso e guardate quello che sono diventata. Anche voi potete uscire dall’inferno. Potete arrivare dove sono io. Vi dico questo perché voglio che capiate quanta speranza potete avere e quanto sia importante che non vi arrendiate.” (Paragrafo: “L’incontro con gli ex-clienti della DBT”, Capitolo: “Rendo pubblica la mia storia: le vere origini della DBT”).
Perché leggere questo libro? A livello professionale, per ricordare sempre che per ogni paziente c’è speranza, anche quando pensiamo che non sia così (e riflettere su che cosa fare quando la perdiamo) e per ricordare il motivo per cui abbiamo scelto questo lavoro, spesso così impegnativo. A livello personale, per darci forza, per lavorare sulle nostre capacità di resilienza, per lottare sempre per quello in cui crediamo. Entrambi i livelli, quello personale e quello professionale, sono presenti in questo libro: è una lettura facile e scorrevole per i neofiti, utile alla riflessione per gli operatori della salute mentale più esperti, racconta lo sviluppo e le principali caratteristiche di una terapia (la DBT) ripetutamente sottoposta a prove di efficacia che è utile conoscere indipendentemente dalle caratteristiche specifiche della propria formazione.
Scheda di lettura a cura di Emma Francia (psicologa, psicodiagnosta)
Puoi acquistarlo qui: Libreria Cortina https://bit.ly/31vIABB
Vincitrice della terza edizione 2021 è Maria Giuseppina Pacilli con l’opera di saggistica “Uomini duri – Il lato oscuro della mascolinità” (Il Mulino)
La cura, l’organizzazione e la promozione sono affidate a un Comitato formato da:
Camilla Amadei, Pietro Roberto Goisis, Vittorio Lingiardi, Fabio Madeddu, Daniele Malaguti con il patrocinio e il sostegno, tra gli altri di SPR-IAG, CSCP, ASP e Centro Berne.
La Premiazione si è svolta il 19 febbraio 2021 ore 18:30 su piattaforma zoom (www.premiogherardoamadei.it) e si può riguardare la registrazione della cerimonia sulla pagina Facebook https://fb.me/e/FaBFUGqo
Leggi anche il Report della premiazione a cura di Emma Francia.
Carone Nicola
Le famiglie omogenitoriali - Teorie, clinica e ricerca
Raffaello Cortina Editore, 2021
Le famiglie omogenitoriali di Nicola Carone è, per prima cosa, un lavoro in qualche modo “atteso”, specialmente nel panorama italiano. La letteratura scientifica sul tema in Italia, infatti, si è decisamente arricchita negli ultimi decenni, e il testo di Carone rappresenta uno sforzo importante di sintesi e approfondimento in tal senso, un sicuro e valido aiuto alla comunità scientifica dei professionisti della salute mentale, che spesso si trovano impreparati - nella pratica clinica ma anche nello spazio di pensiero - rispetto a un tema come questo, nonostante il numero sempre crescente di famiglie italiane che vedono figli e figlie pensati, voluti e cresciuti da coppie omosessuali.
Il tentativo, riuscito, è quello di condensare e ordinare lo stato dell’arte delle scienze psicologiche sul tema dell’omogenitorialità, sul piano teorico, clinico e di ricerca. Ma forse sarebbe meglio parlare di omogenitorialità al plurale, nelle sue declinazioni molteplici per le coppie gay e lesbiche che intrecciano i loro destini e desideri con i donatori, le donatrici e le gestanti per altri indispensabili all’atto procreativo - i birth others, come definiti nel volume. Scenari esistenziali, questi, che nello spazio pubblico e istituzionale italiano rischiano troppo spesso di non essere visti e riconosciuti, pur a fronte di una loro fenomenologia e quantità ormai tutt’altro che invisibile.
Carone ci accompagna in primo luogo all’interno di un mondo di relazioni, affetti e progetti che rimandano al tema del diventare genitori, indipendentemente dal genere e dall’orientamento sessuale. Un processo che viene descritto dall’autore in tutta la sua delicatezza e complessità, nel suo continuo intreccio tra aspetti biologici, ambientali e sociali, e soprattutto nei modi imprevisti, sorprendenti, molteplici con cui il diventare genitori può manifestarsi ben al di là dello scenario prototipico - eterosessuale, possibilmente coniugale, procreativo.
Sono infatti molti i viaggi che portano dalla coscienza procreativa interna a ciascun essere umano, al pensare di dare forma a un progetto condiviso che renda responsabili incondizionati di quel figlio o quella figlia. E se una buona parte di questo complesso tragitto accomuna le genitorialità eterosessuale e omosessuali, il libro delinea con chiarezza tutti i punti invece di scarto e di specificità previsti dai contesti omogenitoriali: in parte sicuramente per la stigmatizzazione incontrata, per il suo essere forma familiare inconcepibile, ma anche per il suo mettere in vibrante discussione gli elementi distinti della provenienza e della appartenenza come elementi che ogni nuova vita porta con sé.
Un testo completo, quindi, che unisce a sé almeno tre elementi di forza: il riferimento ai dati di ricerca come importante filo rosso che caratterizza tutto il testo e conferisce solidità scientifica alle riflessioni proposte; la presenza costante di un dialogo sinergico tra riferimenti teorici ed esperienze cliniche, che rendono la lettura del testo un qualcosa di autenticamente coinvolgente e toccante; la sommatoria di questi due elementi, infine, rende questo testo prezioso per gli addetti ai lavori e, al contempo, accessibile e pienamente apprezzabile - forse con un pizzico di impegno - anche a chi addetto ai lavori non è.
Scheda di lettura a cura di Anna Giulia Curti
Puoi acquistare il volume qui:
Questioni di un certo genere
Secondo numero di Cose, spiegate bene, Rivista del Post
Iperborea
Quando si incontrano delle cose ben fatte, che funzionano, vale la pena di darsi il tempo di guardarle con attenzione per “goderne” a pieno.
Questa penso sia la sensazione che si prova quando apriamo il secondo numero della rivista cartacea de’ Il Post, Cose spiegate bene, un grazioso volumetto - anche graficamente, grazie all’illustratrice e fumettista Sarah Mazzetti - interamente dedicato al genere, tema quantomai attuale, plurime volte nominato, talvolta urlato, e spesso frainteso.
La collettanea pensata e scelta dalla redazione de’ Il Post è poliedrica: si va dalle definizioni base di identità di genere, al dibattito sull’introduzione della schwa e sull’utilizzo dei pronomi, agli elementi base della giurisdizione in tema di cambiamento di sesso, alla lettera I di Intersessualità… passando dalla condivisione di esperienze autobiografiche che veicolino, delicatamente ma senza mezzi termini, qual è l’esperienza delle persone non cisgender (se non sapete cosa significa questo termine è una ragione valida ulteriore per leggere questo volume!), o dalla questione molto spinosa delle atlete trans nel mondo dell’agonismo, o ancora da quella della divisione delle toilette negli spazi pubblici.
L’impressione è quella di aprire una serie di finestre su scorci diversi e cangianti, che a tratti ci fanno sentire anche un poco spaesati, pur non essendo mai caotici o confusionari. Ma, soprattutto, il piacere che maggiormente si percepisce nello sbirciare da queste finestre è quello di essere passo passo accompagnati da interlocutori e interlocutrici che difficilmente hanno lo scopo di prendere una posizione, ma sempre quello di aprire spazi di pensiero con argomenti di qualità e spessore.
Insomma… il titolo della rivista non delude: al suo interno ci sono Cose spiegate bene.
Scheda di lettura di Anna Giulia Curti
Lo stato mentale di coppia
di Mary Morgan
Raffaello Cortina, 2021
Il volume presenta la prospettiva teorico-pratica della psicoanalisi di coppia secondo il metodo del Tavistock Relationships, che applica alle coppie il modello di lavoro psicoanalitico post-kleiniano, con il conforto di crescenti evidenze empiriche relativamente al suo funzionamento e alla sua efficacia.
Ma che cosa significa occuparsi dello stato mentale di coppia? Significa considerare la relazione tra i membri di una coppia come qualcosa di più della somma del funzionamento individuale dei due partner che la compongono: in altri termini, ciò che i partner creano insieme, consciamente o inconsciamente. Lo stato mentale di coppia è quindi un oggetto psichico a sé stante che, nel trattamento terapeutico, implica la capacità del terapeuta e della coppia di assumere una posizione di terzietà, attraverso la quale osservare l’interazione fra i partner in una prospettiva diversa. Per pensare allo stato mentale di coppia è necessario analizzare sia l’influenza del passato (di ciascuno dei membri della coppia e della coppia stessa), sia la natura presente della relazione secondo un approccio evolutivo e dinamico, sia il potenziale per il futuro.
L’ampia esplorazione del concetto di stato mentale di coppia, oltre a prospettare nuovi orizzonti operativi nel lavoro terapeutico, fornisce anche uno spunto di riflessione sulla particolare elaborazione dei vissuti e delle reazioni del terapeuta. Quest’ultimo non deve prescindere dalla consapevolezza della propria posizione, che è di aiuto, ma anche inevitabilmente di intromissione in una relazione senz’altro problematica (tanto da indurre i suoi membri a richiedere la consultazione), ma comunque dotata di una propria identità, prodotta dalle “menti che si incontrano” (per citare Lewis Aron) dei partner e che condiziona la vita di ambedue e l’intervento stesso del clinico.
L’impianto del volume prevede cinque aree chiave, che ogni terapeuta deve esplorare quando entra in relazione con una coppia: la presenza di fantasie inconsce condivise, la qualità del transfert, le caratteristiche del sistema proiettivo di coppia, la presenza di tratti narcisistici vs. la possibilità di condividere il proprio spazio psichico con un’altra persona e il livello di sviluppo psichico della coppia. Seguendo la traccia di questi argomenti, l’Autrice descrive le caratteristiche di un adeguato assessment psicoanalitico di coppia, indica i principi per l’avvio del trattamento, illustra la teoria e la tecnica del lavoro analitico con la coppia. Un tema al quale è prestata particolare attenzione riguarda la fase diagnostica, che risulta tanto importante nel trattamento di coppia quanto lo è nel trattamento individuale: tra gli elementi più rilevanti da prendere in considerazione, si sottolineano il modo in cui la coppia si presenta, i motivi che l’hanno portata a chiedere aiuto, le dinamiche che si creano all’interno della stanza di consultazione fin dal primo incontro e il modo in cui ciascun partner si pone all’interno della coppia.
Poiché i legami di coppia sono una parte essenziale della vita quotidiana di tutti i pazienti, la proposta teorica illustrata nel volume è destinata a suscitare l’interesse anche dei clinici la cui pratica è perlopiù rivolta ai trattamenti individuali. La presenza di numerosi esempi, che descrivono le diverse modalità di lavoro terapeutico in molteplici situazioni di coppia, è di aiuto alla lettura e alla comprensione del modello terapeutico proposto.
Scheda di lettura a cura di Emma Francia (psicologa, psicoterapeuta)
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Serendipità.
L’inatteso nella scienza
di Telmo Pievani
Raffaello Cortina Editore, 2021
Il tema del libro e il significato del termine serendipità possono per molti risultare sconosciuti e lasciare perplessi ma, sin dall'inizio, si viene accompagnati dall'autore in un percorso che suscita interesse e si svolge in modo scorrevole, partendo da una novella indiana del 1300 nella quale si narrano le vicende di tre giovani principi persiani del regno di Serendib e viene messo in evidenza, con aspetti metaforici, il valore della curiosità verso le realtà sconosciute e della capacità di un'osservazione originale, estesa a tutti gli aspetti apparentemente marginali, incomprensibili e imprevisti.
A metà del '700 Voltaire, prendendo lo spunto dal racconto persiano, scrive una lunga novella ambientata nel IX secolo che intitola con il nome del protagonista, Zadig, di cui descrive le vicende avventurose, anche al servizio del re di Sarandib, e le particolari capacità personali. Queste, in un' ottica illuminista, riguardano la prontezza di spirito, la curiosità estesa ai dettagli e agli aspetti enigmatici per cogliere dimensioni nascoste della realtà sulle quali costruire ipotesi esplicative originali. Pochi anni dopo Horace Walpole, un inglese bizzarro, eclettico, letterato e collezionista di opere d'arte sostiene la prevalenza della casualità e dell'accidentalità delle scoperte rispetto alla competenza e all'impegno del ricercatore e definisce questo fenomeno serendipity, nome che è giunto fino a noi. Il riferimento fu per molti anni ristretto ad ambiti come l'archeologia, il collezionismo e l'antiquariato.
Nella seconda metà dell'800 alcuni uomini di cultura, tra cui Pasteur, iniziarono a porsi il problema di quale fosse il ruolo del caso e, rispettivamente, della competenza nella ricerca, valorizzando aspetti come il sapere indiziario, o capacità ricostruttiva, che si applica sia allo studio di realtà complesse sia alla comprensione di vicende passate, come nell'archeologia o la paleontologia. Solo dall' inizio del '900 il fenomeno serendipità ebbe crescente importanza anche a livello teorico, in base al convincimento che la scoperta accidentale sia una componente essenziale del processo di ricerca, da inserire in un percorso di razionalità scientifica. Si rimane sorpresi nell'apprendere quanti approfondimenti, anche semiologici ed etico-religiosi, siano stati fatti sui diversi aspetti e contesti della serendipità, che dagli anni'50 compare ufficialmente negli articoli scientifici.
In seguito l'autore, evitando con abilità il rischio dell'aneddoto, illustra in maniera scientificamente adeguata, ma anche accessibile e invitante, numerose scoperte in diversi campi scientifici legate alla serendipità. Basti citare Priestley, che a fine '700 scoprì l'ossigeno, Jenner, Fleming, i raggi Roentgen, e la fisica dell'universo passando per il velcro, il gas anestetico, la plastica, il Pap-test e il laser.
Attraverso un approfondito esame dei vari livelli di serendipità e dei meccanismi e contesti che la generano, basato su esempi magistralmente scomposti, si entra in una dimensione di metodologia della ricerca come, ad esempio, nel caso del rapporto tra mondo digitale e “la scienza dell'inatteso” a proposito delle diagnosi mediche eccessivamente delegate alla tecnologia
.Nell'ultima parte del libro l'autore affronta il tema della serendipità al livello teorico più alto, con un approccio da filosofo della scienza, e tratta aspetti come il rapporto tra evoluzione e serendipità, e tra quest'ultima e le scienze fisico-matematiche. Nonostante la difficoltà dei temi egli ha il merito di mantenere l'equilibrio tra inappuntabilità scientifica e godibilità della narrazione anche per i non addetti ai lavori.
Scheda di lettura a cura di Guido Taidelli (psichiatra)
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La supervisione, di Nancy McWilliams
Traduzione italiana di Gabriele Lo Buglio
Raffaello Cortina Editore, Milano 2022
La supervisione clinica si può intendere come un’attività di “educazione”: con queste parole Nancy McWilliams apre il suo ultimo lavoro, che getta luce sul dark side della formazione alla pratica clinica, un lato tanto inesplorato quanto fondamentale. L’autrice enfatizza la necessità di considerare la supervisione come il momento in cui il sapere scientifico, la ricerca evidence-based e le considerazioni di clinici con esperienza pluriennale convergono e comunicano fruttuosamente.
Quando un terapeuta in formazione incontra un paziente, è alle prese con il delicato processo di decostruzione del proprio bagaglio di conoscenze teoriche acquisite, al quale saranno affiancate importanti riflessioni sul funzionamento del paziente e sul proprio modo di “stare” in terapia. Il ruolo del supervisore risulta dunque cruciale nel guidare il supervisionato nella costruzione di una alleanza condivisa con il paziente e basata su obiettivi comuni di trattamento, oltre che sulla comprensione della specificità del processo terapeutico in corso, segnalata anche dal particolare clima emotivo che si crea durante la seduta. L’originalità del lavoro di McWilliams consiste nella capacità di prendere in considerazione contemporaneamente il punto di vista del supervisore e del supervisionato, nonché di offrire numerose riflessioni di ampio respiro che, pur fondate su una prospettiva psicoanalitica, sono condivisibili anche da clinici che si richiamano a orientamenti differenti. Come sottolinea l’autrice, infatti, la qualità di qualsiasi supervisione è tale indipendentemente dall’orientamento teorico e serve a gettare le basi per un percorso in cui gli allievi possano sviluppare un proprio stile di lavoro, che ben si adatti a loro stessi e ai pazienti.
Il volume esplora il tema della supervisione da numerosi punti di vista, a partire da un inquadramento storico che mette in luce un dilemma fondamentale: se il compito dei supervisori sia quello di “indottrinare” i clinici in formazione all’uso rigido di strumenti e tecniche o se debba invece essere incoraggiato un processo di crescita professionale complessiva. L’autrice prosegue con un affondo sul tema del progresso in terapia, invitando a osservare alcuni dei “segni vitali” che permettono di monitorare l’andamento del trattamento. Nel proporre alcune riflessioni sulla supervisione individuale e la consultazione di gruppo, McWilliams attinge alla propria esperienza per soffermarsi su considerazioni di natura etica, che vengono riprese nei capitoli successivi per una disamina dei dilemmi relativi al migliore interesse del paziente e della collettività. Infine, l’autrice illustra in che modo le dinamiche psicologiche di supervisore e supervisionato possono incontrarsi e interagire, dando luogo a una Gestalt unica e irripetibile, oltre che imprevedibile fino al momento in cui prende forma nella relazione che si sta costruendo.
Scheda di lettura a cura di Silvia Cavedoni (psicologa e psicoterapeuta)
Puoi acquistarlo qui: Libreria Cortina https://bit.ly/3yrjXWy
Il cervello ha una mente propria, di Jeremy Holmes
Traduzione italiana di Silvia Cavedoni ed Emma Francia
Raffaello Cortina Editore, Milano, 2022
Il volume di Jeremy Holmes, autore noto per i suoi testi volti ad approfondire aspetti specifici della teoria dell’attaccamento, è un tentativo di proporre nuove lenti attraverso le quali leggere alcuni concetti che appartengono alla tradizione psicoanalitica. In particolare, Holmes analizza alcune delle implicazioni che la rivoluzione delle neuroscienze, del brain imaging, dell’intelligenza artificiale hanno sulla psicoterapia, per evidenziare in quale modo la psicoanalisi possa tuttora fornire un importante contributo alla nostra comprensione del mondo con il quale interagiamo costantemente.
Lo scopo dell’Autore non è quello di mettere a punto una teoria chiara e definita, bensì avvicinare il lettore alle “nuove frontiere della psicoanalisi”, riconoscendo in quest’ultima una disciplina sempre più chiamata a confrontarsi con altri settori della conoscenza. Il discorso di Holmes ha inizio con il riconoscimento dei contributi forniti da alcuni giganti del pensiero, che hanno posto le fondamenta per la costruzione delle nostre conoscenze attuali, tra cui von Helmholtz, Bernard, Freud, Schrödinger e Bayes.
Il lettore si troverà quindi ad approfondire concetti mutuati da diverse discipline, che fungono da metafore del funzionamento della mente umana e delle interazioni tra la mente e il mondo esterno, come il Free Energy Principle (FEP) e la Prediction Error Minimization (PEM). Il FEP fa riferimento alla necessità degli esseri umani di contrastare il disordine e, quindi, “minimizzare l’entropia dei loro stati sensoriali”: l’energia libera è entropica e il cervello opera come un organismo che lega l’energia in entrata (ad esempio, attraverso i sensi) ai propri modelli predittivi del mondo (ad esempio, schemi codificati nella memoria procedurale).
Con il concetto di Minimizzazione dell’Errore di Previsione (PEM) si fa invece riferimento al fatto che, se la percezione accurata richiede “l’ottimizzazione della precisione degli a-priori top-down e dell’evidenza sensoriale bottom-up” (p. 101), a livello neurobiologico vi è la necessità di modulare e ridurre la discrepanza tra gli input sensoriali e i modelli che li spiegano. Alla luce di questi concetti, l’Autore indica quali possono essere le fondamenta neuroscientifiche della psicoterapia psicoanalitica.
Si tratta di una nuova modalità di pensare a ciò che accade nella mente del paziente, dell’analista, nella loro relazione e, soprattutto, di identificare quali sono i meccanismi responsabili del cambiamento.
Il volume propone numerosi esempi (stralci di casi clinici), utili per chiarire i concetti proposti, partendo da ciò che ha luogo nella concretezza del trattamento terapeutico.
Scheda di lettura a cura di Emma Francia (psicologa e psicoterapeuta in formazione)
Puoi acquistarlo qui: https://bit.ly/3zxGzq9